La Luce brilla anche in agosto
Ci sono canti e ore, e abbracci e pensieri. Un libro è tutto questo ed è molto altro. Un libro è connessione potente o disgregazione acuta, è salute e malattia, è respiro e paura asfittica di restare senza luce. Sono le emozioni di chi lo scrive: si intersecano, impastano, fondono, si dilaniano insieme alle emozioni dei lettori. Che sono i veri proprietari del libro.
Quando “La luce che brilla sui tetti” è uscito, il 21 aprile 2016, ho sentito il suo partire. Il mio romanzo non era più mio, lo mostravo orgogliosa sapendo che ogni lettura in più lo avrebbe allontanato e interpretato, scarnificato, analizzato, amato oppure odiato. E qualcuno lo avrebbe trovato neutro, indifferente, anche se con me è difficile che esista indifferenza: nella storia della mia vita ci sono amore e odio che suscito senza regole apparenti, è difficile che susciti indifferenza. Con un mio libro forse è la stessa cosa, chissà. Non me lo chiedo.
Ho un gatto ai piedi, una portafinestra aperta su un cielo azzurro appena velato e mille pensieri di amore. Ho soprattutto il tormento della scrittrice, quel tormento che è tanto di moda nei salotti (se ne parla, è bellissimo invitare i cosiddetti creativi e sorridere alle loro spalle delle bizzarrie che ostentano) ma scomodissimo nella vita personale. Scomodo come un amore non corrisposto, come la voglia di Eros che cade nel vuoto di un senso di colpa.
Eros, magnifico onnipresente e bistrattato Eros. E’ come l’Arcano senza Nome nei Tarocchi, che alcuni in vena di facezie hanno chiamato la Morte: quando esce in un gioco destinato a te provi un brivido, in fondo ti spaventa ma sa eccitarti, ti fa pensare che tutto cambi e allora è bello che tutto cambi perché forse sarai più felice più bella più altrove più tutto.
Dicono che la mia vita stia imboccando un sentiero particolare, e “La luce che brilla sui tetti” ne faccia parte. Forse è vero, non so dirlo: i migliori medium difficilmente leggono cose per sé e io certo non mi annovero tra loro, quindi figuratevi. Certo è che sono in cammino, e se penso all’Ospedale di Kalongo che sta faticosamente ma con successo costruendo la sua parte di prevenzione del tumore dell’utero nel nome di Mario Sideri voglio immaginare che sia anche merito del romanzo. Dei lettori del romanzo, in realtà.
Scrivo questo post agostano sconclusionato e ammiccante per ringraziare chi legge il romanzo, chi lo diffonde, chi ne parla. E ringrazio chi sta donando denaro per il progetto della Fondazione Ambrosoli nel nome di Mario Sideri: il distacco fisico da chi è andato altrove è e resta una tragedia che toglie il respiro, ma la costruzione di un grande amore successiva è il vento che risolleva la polvere e la trasforma in baluginare di Luce.