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Recensione libro nel noidonne.org

Ci sono libri cui ci si accinge con leggerezza, per il titolo, l’immagine di copertina, la sinossi. Epperò ti incuriosiscono per la biografia dell’autore, che non sempre è ‘solo’ uno scrittore, spesso, anzi sempre più spesso, fa un altro mestiere. E allora l’istinto suggerisce che tra quelle pagine si troverà ‘altro’. E’ il caso de La luce che brilla sui tetti (Tea), di Maria Giovanna Luini, narratrice, saggista e sceneggiatrice. Nonché medico, con specializzazione in senologia, per 15 anni consulente di Umberto Veronesi allo Ieo (Istituto Europeo Oncologico).

 Luini narra di un incontro tra due professionisti, Andrea e Lucilla, in un ospedale oncologico del capoluogo lombardo in cui dolore e speranza alternano le giornate di professionisti e pazienti. Racconta di talenti, vocazioni, sogni, amicizie, invidie, pettegolezzi, competizioni. Quelle che ci sono un po’ ovunque, in qualsiasi posto di lavoro, nessuno escluso.
Lo schema narrativo è semplice, senza troppi colpi di scena. Eppure rapisce. Perché il senso non sta tanto nella concatenazione dei fatti, ma in quel continuo bilanciamento tra vita e morte, potere e rinuncia, timori e presagi.

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Colorno e Viareggio – energia erotica, libri e follia

Energia erotica e lentezza

 

Mariangela Guandalini è mia amica da anni: lei ed Eleonora, sua bellissima figlia, mi hanno donato alcuni dei momenti migliori della mia vita. Quando ho ricevuto l’invito al Festival della Lentezza a Colorno il brivido lungo che mi ha scosso era piacere ed emozione: quali domande mi avrebbe rivolto Mariangela? Così acuta, profonda, colta, così attenta e vicina al mio cuore. E l’incontro è stato affascinante: non solo i miei romanzi (“Il male dentro”, “La luce che brilla sui tetti”) ma anche il tempo, le donne, il dolore, la centralità creativa dell’amore e… L’erotismo. La potenza dirompente dell’energia erotica.

L’erotismo è ciò che siamo, è il nostro fuoco, la nostra incredibile risorsa creativa, è la Luce che in noi si nota di più. Anche quando vogliamo soffocarlo o dissimularlo (non si sa perché), Eros preme e vuole esprimersi, vuole il proprio spazio vivificante e prezioso. La sensualità spontanea altro non è che un altro modo per sorridere al mondo.

Speciale e divertente la cena successiva, con le fotografie dei viaggi di Mariangela ed Eleonora e qualche gustoso racconto intimo delle mie avventure erotiche (appunto). Ma qui mi fermo.

 

 

Viareggio: libri e follia

 

Conosco Elena Torre da anni. Un libro ci ha avvicinato, un libro mi ha riportato a Viareggio alla libreria La Vela (sono fedele ed entusiasta ogni volta che mi invitano lì). L’imprevedibile Elena ha spaziato dalla morte alla narrazione, dall’amore alla medicina olistica, dai dialoghi come tecnica di scrittura alla medianità. E’ stata capace di chiedermi, provocatoria, un paragone tra l’Editore precedente e quello attuale. Bella gente, bello scambio.

Nella cena successiva siamo riuscite a rubare una torta di compleanno e a improvvisare un’intervista radiofonica sul lungomare. Panorama stupendo, naturale e umano (anche qui mi fermo, è meglio: Eros occhieggia sibillino).

Pensieri nel viaggio

Dall’agenda escono fotografie, appunti, piccoli memo che dissemino nell’illusione di ricreare un ordine. Dico sempre che ci vuole armonia, ma forse la mia armonia sta in un disordine di cui godo quando, in silenzio, mi fermo e cerco i segni della scrittura. Come le briciole di pane di alcune fiabe, come i frammenti luminosi che Lucilla nota sospesi a fluttuare su un ponte nella storia di “La luce che brilla sui tetti”. Proprio l’altra sera a Busto Arsizio parlavo di questi frammenti e di quel ponte: in tutto il romanzo ho sparso verità impastate a fantasia, e quel ponte con i frammenti di luce e dolore sono profondissima e assoluta verità.

Non ho l’abitudine di chiedermi cosa sarebbe successo se… Se Mario non avesse avuto l’incidente, se oggi fosse ancora qui, incarnato, con le sue moto da folle e il nostro rapporto ondivago di amicizia, gratitudine, curiosità e competizione. Saremmo davvero altrove con un lavoro diverso, in un centro per la qualità della vita delle donne con tumore? Saremmo più o meno amici, più o meno evidenti nel nostro legame di anime che non si sono riconosciute fino in fondo? Esisterebbe il romanzo?

No, il romanzo non avrebbe questa forma, questo contenuto, questo titolo. “La luce che brilla sui tetti” sarebbe un altro libro, una forma indistinta che racconta altro. E la vita non si crea con i se: sono certa esistano da qualche parte (nei nostri Registri Akashici, forse) tutte le strade parallele e secanti, mi è dato ora di notare questa. In questa vita, nel qui e ora, Mario è una luce e i frammenti sul ponte stanno ancora fluttuando. Non ho mai smesso di guardare giù da quel ponte, di tormentarmi per il suo volo. E’ un volo che stride con il sorriso pazzesco, con quelle risate e la camminata goffa quanto la mia, con il casco sotto il braccio e la tuta nera e i ritardi cronici che mi facevano imbestialire.

Ogni volta che credo che la ferita sia quasi rimarginata qualcosa strappa via il cerotto e con il cerotto il tappo di fibrina (colpo basso da medico, lo so: alludo alla cosiddetta “crosta”), e il sangue sgorga. Non ho paura del sangue e nemmeno delle lacrime. Vorrei solo che non fosse accaduto. Rinuncerei volentieri al romanzo in questa forma, perfino al tour che mi sta dando tante gratificazioni, perché significherebbe riaverlo indietro.

“Ma io ci sono”: dice così e mi accarezza le spalle. Mercoledì ha piazzato la sua moto davanti all’ingresso del mio studio in via Plinio, così storta e fuori luogo che era impossibile non coglierne il significato. C’è, so che c’è ed è più che mai capace di dimostrarlo.

Eppure.

Presentazione nel Teatro Delia Cajelli

Le aspettative sono sempre sbagliate, ma spesso diventano inevitabili.

Ieri sera a Busto Arsizio speravo davvero che l’atmosfera e le persone, le emozioni fossero Luce. Eravamo nel Teatro di Delia Cajelli, Michela nel romanzo, insieme a Mario – Sauro e a sua moglie Daniela – Gabriella, ed era il compleanno di Elisabetta. Non ho ancora raccontato di Elisabetta ma lo farò presto, è un’Anima piena di Luce che da alcuni anni mi segue.

Insomma, nonostante un temporale feroce (ma amo i temporali, in verità) la presentazione è stata meravigliosa. Nicoletta Carbone, Annamaria Sigalotti, gli attori Valentina e Davide, Daniela Fantini e Lorenza Caravelli tutti con me intorno a “La luce che brilla sui tetti”.

C’era tanta gente, conoscevo alcuni volti avendoli già incontrati al teatro lì a Busto Arsizio ma anche perché ho amici lettori fedelissimi che mi stupiscono ogni volta per la costante partecipazione agli eventi.
Grazie a tutti, sono felice. E sono certa che anche Delia e Mario lo siano.

presentazione_BustoArsizio

Le domande dell’Amore

Non si era mai posta troppe domande e, se lo aveva fatto, non aveva centrato il cuore del problema. L’amore le era sempre sembrato una condizione necessaria e sufficiente, l’energia di ogni persona e cosa, il motore per la bellezza e l’evoluzione e per ogni cambiamento possibile e impossibile.

E ancora credeva che fosse così, ma non era quello il nucleo. Non era quella la domanda da farsi: cosa è l’amore? No, l’amore non poneva domande simili. L’amore ne aveva altre e lei non si era mai resa conto. Solo quando il balletto delle voci delle amiche aveva iniziato a creare confusione e lei le aveva zittite, quando la storia più appassionata e luminosa e incredibile della sua vita si era accartocciata e a lei era richiesto di abituarsi alla velocità del tuono si era accorta di avere sempre amato senza rispondere alle domande più importanti. Aveva dovuto cadere per accorgersi, scivolare a una curva inattesa e sbattere contro un ostacolo e rialzarsi confusa per poi precipitare in mezzo ai sassi e alle foglie nel sole di una primavera che avanzava verso una Pasqua che avrebbe creduto differente. Uscita dal corpo, aveva osservato le gambe e le braccia buttate a caso e il cuore che aveva smesso di pompare sangue e aveva compreso di essere morta. Beh, insomma, morta, quasi: una parte di lei era morta, non tutto.

– Ehi.

La voce l’aveva raggiunta nel cervello, non nelle orecchie (le orecchie stavano attaccate al corpo raggomitolato un paio di metri più in basso rispetto al punto dove lei fluttuava, e sembrava proprio messo male). Si era voltata senza muoversi, un po’ troppo veloce perché ancora non gestiva bene la nuova condizione. L’aveva visto. Aveva visto lui, il suo volto non più volto, il sorriso ancora più sorriso e l’amore sempre più amore.

– Non dovevi arrivare adesso. Ho dovuto fare in fretta, ero in giro per mare. Mi sono accorto del tuo arrivo ma non me l’aspettavo.

Il mare? Lui aveva sorriso. Sapeva cosa stesse pensando.

– Sì, abbiamo il mare anche qui. Abbiamo tutto. Ma perché sei venuta adesso?

Veramente non volevo. O forse sì. Aveva dato un’altra occhiata al corpo, era una fortuna non essere più là dentro: doveva fare male, chissà quante fratture.

– Te la potresti cavare. Puoi ritornare lì. Non era il momento, sai. Ripareranno le fratture. La cosa più grave è il cuore, quello è proprio rotto. Ma non è una roba da cardiochirurghi, è un problema diverso e lo sai.

Non me ne voglio andare, mi sento bene qui. Così leggera, e con lui davanti. Possibile che?

– Sì, possibile. Puoi interrompere il tuo viaggio se vuoi. Ma era un viaggio bello, sarebbe un peccato. Stavi imparando tante cose.

Imparare. Soffrire, voleva dire. Si decise a parlare. Lui sapeva tutto, i pensieri erano parole mute ma voleva che intuisse che li dirigeva a lui.

– Perché sei andato via, tu?

– Da te? Mai. Comunque sono stato scemo, lì per lì mi sono sentito un cretino. Succede, e non è stata solo colpa mia: nel linguaggio della vecchia vita direi che si è trattato di un omicidio colposo con omissione di soccorso solo a metà. Ma non ci pensare.

Se fosse stata ancora nel corpo si sarebbe sgretolata, peggio che dopo la caduta vera. Avrebbe pianto, gli avrebbe urlato contro che l’aveva lasciata da sola. Gli avrebbe detto che poi, dopo, era successo che…

– So cosa è successo. Ho visto tutto. C’ero, ci sono sempre stato. Facevo anche il tifo, lo sai.

Era bello, lì. I colori era più vividi, alcuni non esistevano nel mondo da dove veniva. I profumi (quanto aveva amato i profumi, sempre) erano parte dei colori e del volo e della libertà e dei sensi amplissimi che stava rapidamente guadagnando. Il suo corpo, peccato per il corpo: non era così vecchio, avrebbe potuto indossarlo ancora se non fosse stato così distrutto. Ma il problema era il cuore: come poteva dare ancora amore ai pazienti, a chi la cercava, a tutta quella gente che si sentiva consolata da lei se il cuore si era rotto?

– Vieni qui.

Non fu un abbraccio, fu un compenetrarsi di energia. Di anime, forse. Lo sentì. Sentì ciò che era stato e ciò che era, e ciò che mai sarebbe passato. Mai, mai, mai. Sentì l’eterno.

– Ti sei solo posta la domanda sbagliata. Sempre.

– Dimmi quale domanda.

– L’unica domanda che avrebbe salvato il tuo cuore era la stessa che mi ha fulminato quando sono arrivato qui. La vuoi sapere?

– Certo. Dimmela, adesso.

Le sorrise. Ancora di più, ancora meglio. Fu come un vento di amore indicibile.

Come stai quando ami? Senza immaginare di ricevere, senza costruirci sopra bugie o sogni che niente hanno a che vedere con il cuore. Come stai tu quando lasci andare libero il tuo amore? Un cuore non si spezza mai così per ciò che sta dando, ma perché ha pensato di dovere ricevere.  Anzi, facciamola più semplice. La domanda vera è: tu chi sei? Chi sei nuda, senza le stronzate che si infilano sopra l’essere e senza il balletto assurdo che quando siamo nel corpo inventiamo perché siamo convinti che si debba costruire qualcosa. Tu chi sei?

Chi sono, io? Arrotolò la domanda nell’energia enorme e libera che la incendiava. Iniziava a non desiderare più la vista del corpo morto: non era importante.

– Tu sei amore. E sei un’anima. Ciò che tu ami diventa amore. Il resto è illusione. Il resto sono prove da superare.

Nessuno poteva togliere l’amore. Lei era amore. Lui era amore, e non era mai andato via.

– Nel tuo corpo recitavi un ruolo. Ma avevi dimenticato che era solo un ruolo. Tu sei amore, sei andata là per questo e non è nel tuo percorso fermarti e perderti in un gorgo di sentimenti che non vogliono funzionare. Sei amore: stai bene perché dai, l’incontro con te ha significato per chi lo vuole cogliere altrimenti non è problema tuo.

– Ma.

– Ma niente. Ognuno ha scelto un percorso prima di infilarsi nella scomodità di un corpo fisico. Non puoi interferire con il percorso altrui se non offrendo ciò che sei e accettando che a volte la bellezza finisca. In nessun caso puoi bloccare il tuo cammino, ecco perché sei caduta. Credevi di potere controllare, inventare, modificare realtà che non dipendevano da te, e così intralciavi la tua luce. Il tuo fantastico volo.

Vide. Sentì i blocchi che lei stessa aveva creato, le parole che aveva pronunciato come se fosse sconnessa da un’essenza che adesso le era così chiara. Vide come in un meraviglioso quadro che nessuno perde nessuno, ci si incrocia più volte e si rivestono ruoli che servono a qualcosa. Ma lo si capisce dopo.

– Sicura di non volere ritornare un po’ là, adesso?

– Vorrei restare qui con te, nell’eternità di questa pace.

– Puoi farlo. Ma l’armonia che volevi creare prima di partire sul serio, prima di lasciare quel mondo? Hai lasciato davvero tutto in armonia?

– No. Avevo appena colto l’importanza dell’armonia e sono caduta. Sarà un bel casino con tutte quelle fratture.

– Sì. Ma stanno arrivando a prenderti, senti le sirene? Ti cureranno.

Dietro di lui una luce, non l’aveva notata prima.

– Tu sei in luce.

– Sì. Ma posso ritornare, non sono mica in prigione. Lo siete voi, ma solo quando decidete di esserlo. Tu meno degli altri, per la verità. Non ti sei mai lasciata ingabbiare facilmente, tranne quando amavi mettendo in mezzo l’ego. L’ho fatto anch’io, alcune volte, e ho imparato che non è un modo sano di amare.

– Già. Ma adesso.

Provò ad abbracciarlo di nuovo. Vibrò altissimo, e l’amore perfetto che sentì fu un ritrovarsi di due anime antiche che erano nate gemelle.

– Resterai con me?

– E dove vuoi che vada?

Quando fu risucchiata indietro il dolore la colpì fino a stordirla. Svenne e non seppe altro che buio.

Si era poi risvegliata, giorni dopo. E alle facce preoccupate che la osservavano in lacrime aveva sorriso.

– Ho sempre sbagliato la domanda. Ma adesso no, adesso so chi sono.

La prima cosa che fece uscendo dall’ospedale, poi, fu di spegnere il telefono cellulare. L’amore non aveva bisogno di altro che di sé. Chi era destinato a incrociare il suo cammino, volentieri e in libertà, l’avrebbe fatto.

Presentazione Saronno by JekyllandHyde

Entriamo nella Libreria Pagina 18 a Saronno, sono le 17:30, abbiamo quasi la certezza di essere in ritardo, fa caldo e siamo trafelate.
In libreria ci sono due persone, penso subito che la presentazione sarà già iniziata e un po’ mi girano. Devo bere un caffè, faccio veloce, il bar è separato dalla libreria da una porta sempre aperta. Sonia e Camilla mi accompagnano, senza caffè divento intrattabile. Non mi agita la caffeina, mi da una vigorosa pace.
Mi avvicino al bancone e intravedo MariaGiovanna Luini assieme a Lorenza Caravelli  anche lei scrittrice di indubbio talento. Mi avvicino, abbraccio Giovanna prendendola alle spalle, alla sprovvista, al mio solito e poi bacio Lorenza. Sono felice che sia Lorenza la relatrice alla presentazione del romanzo di MariaGiovanna Luini, LA LUCE CHE BRILLA SUI TETTI.
Assieme a loro c’è una donna distinta, dagli occhi dolci; ha una postura intrisa di una certa riservatezza. Accade in un attimo, neppure me ne accorgo e già  mi lancio verso di lei e stringendole la mano le do due baci sulle guance. Io sono così, mi viene sta roba fisica verso gli esseri umani, non tutti.
-Michela ti presento la sorella di Mario-, mi dice MariaGiovanna dopo che mi sono già sbracciolata la signora…. Leggi l’articolo

Presentazione libro Saronno

Essere insieme a Lorenza Caravelli è sempre una gioia: siamo così amiche e complici che le sue domande riescono sempre a scovare gli angoli più inesplorati dei libri e della mia anima.

Bellissime persone, e la sorpresa di avere con noi una sorella di Mario Sideri. E Mario c’era, altroché: tutti abbiamo avvertito la sua presenza, era con noi. Sauro e Mario parlavano con noi.

Una bella presentazione all’aperto, informale e intensa, andata molto oltre il limite orario prestabilito.

Udine…

La magia è stata protagonista a Udine, non solo nella bellissima libreria Friuli.

Il mio viaggio a Udine ha avuto momenti così forti, affascinanti e misteriosi che temo di non sapere raccontare. Uso la fotografia che ho scattato con la mia amica Rosa Rita per riassumere questa magia, e ringrazio la relatrice Ivana Vaccaroni (sempre puntuale, profonda ed elegante) e le persone presenti.

Belle le domande, a proposito! E rifletterò, come Ivana mi ha chiesto, sull’uso di nomi che iniziano con S per i personaggi maschili dei miei romanzi.

presentazione_Udine

 

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